Ciro Menotti, patriota italiano (1798-1831)
Affascinato dal nuovo corso del re Luigi Filippo d'Orléans, dal 1820 tenne frequenti contatti con i circoli liberali francesi: l'obiettivo era quello di liberare il ducato di Modena dal giogo dell'Austria.
Modena era allora governata dal duca Francesco IV d'Asburgo-Este, arciduca d'Austria. Egli reputando il ducato di Modena troppo piccolo per le sue ambizioni coltivava rapporti diplomatici con i diversi stati europei e manteneva una corte sfarzosa . Ciò spiega il suo atteggiamento nei confronti dei movimenti rivoluzionari che agitavano l'Italia; da un lato li temeva ed osteggiava e dall'altro li lusingava nella speranza di potere volgere la loro azione a vantaggio dei propri interessi personali.
Avvicinato da Menotti, inizialmente Francesco IV non reagì al progetto rivoluzionario: forse c'erano accordi precisi fra i due tramite anche un altro liberale, l'avvocato Enrico Misley, frequentatore abituale della corte ducale.
Non si capisce altrimenti perché Francesco IV, che conosceva a fondo Menotti, non lo avesse fatto subito arrestare come aveva fatto nel 1820 con altri carbonari, o presunti tali, processati e poi condannati.
Nel gennaio del 1831 Menotti organizzò nei minimi dettagli la sollevazione. Il 3 febbraio, dopo aver raccolto le armi, radunò una quarantina di congiurati nella propria abitazione, poco distante dal Palazzo Ducale, per organizzare la rivolta.
Francesco IV, tuttavia, con un brusco voltafaccia certamente impostogli dal governo austriaco, decise di ritirare il suo appoggio alla causa menottiana ed anzi chiese l'intervento restauratore della Santa Alleanza. Il duca fece circondare dalle sue guardie la casa; i congiurati cercarono di fuggire, alcuni ci riuscirono, altri no e fra questi Ciro Menotti, che, saltato da una finestra nel giardino retrostante la casa, rimase ferito e fu catturato e imprigionato.
Il Duca, impaurito dai disordini che stavano scoppiando anche a Bologna, si rifugiò a Mantova, portando con sé Menotti.
Fallite le insurrezioni il duca, rientrò a Modena, sempre portandosi dietro il Menotti prigioniero.
Due mesi dopo fece celebrare il processo che si concluse con la condanna a morte mediante impiccagione. La sentenza venne eseguita nella Cittadella, assieme a quella di Vincenzo Borelli, anche lui facente parte del gruppo di arrestati la notte del 3 febbraio e condannato a morte. Menotti passò la notte prima dell'esecuzione (23 maggio 1831) con un sacerdote al quale consegnò una nobilissima lettera per la moglie.
Oggi al n°civico 90 ,di Corso Canal Grande, ove Menotti abitava, è posta una lapide. E non deve passare inosservato il monumento, voluto dalla comunità modenese e realizzato dallo scultore Cesare Sighinolfi. Fu eretto nel 1879 proprio di fronte all'ingresso del palazzo Ducale. Il patriota è ritratto con lo sguardo rivolto verso la stanza dove venne firmata la sua condanna a morte, che era, al tempo dei duchi, il centro del potere.
Recentemente è stato restaurato anche il ceppo dove Menotti e Borelli vennero giustiziati tramite impiccagione. L'opera, ubicata in Piazza I Maggio, in pietra nuda, riprende alcuni scalini del patibolo, e tutto intorno faretti con luci bianco-rosso e verde, illuminano la scena.
Ciro Menotti è sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Spezzano di Modena.